Esperimento Philadelphia: mito o realtà?

di Giorgio Pattera
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GALILEO
Centro Ricerche
Esobiologiche

"Oggigiorno il più grande ostacolo al progresso scientifico è il rifiuto di alcuni, scienziati inclusi, a credere che possano accadere fenomeni in apparenza fantastici"

George S.Trimble, direttore Manned Spacecraft Center (NASA - Houston)

Siamo nell’ottobre 1943. Il cacciatorpediniere ELDRIDGE, ancorato nel porto di Philadelphia, è protagonista di una straordinaria avventura: nel giro di pochi secondi svanisce in una luminescenza verdastra e solo l’incavo dello scafo sull’acqua calma della darsena rimane a testimoniare la presenza della nave, che si rimaterializza nello stesso punto dopo alcuni minuti. Effetto accidentale di invisibilità della materia, consequenziale al progetto di "mimetizzazione elettronica antiradar", compiuto dagli americani sul finire della seconda guerra mondiale? Fenomeno di teletrasporto? (Da più parti si asserisce, infatti, che la nave sia apparsa nel porto di Norfolk, proprio nel periodo di tempo in cui era mancata da Philadelphia). Tragico errore nel quadro della sperimentazione di difese anti-mine tedesche?

In ogni caso la Marina degli Stati Uniti ha fatto di tutto per tenere nascosta l’episodio. Tuttavia qualcosa è trapelato; anzi, si è avuta notizia dei disastrosi effetti che l’esperimento avrebbe provocato sui membri dell’equipaggio, nessuno dei quali sarebbe rimasto immune da gravissime conseguenze. Nel migliore dei casi, si parla di pazzia; nel peggiore, di effetti allucinanti (i marinai rimasero come "congelati" o "bruciarono per giorni interi").

Cosa c’è di vero? Purtroppo non ci è dato sapere molto sull’argomento e finché la Marina Americana non si deciderà a rendere pubblico, grazie al F.O.I.A. Freedom of Information Act = legge sulla libertà d’informazione), il << Dossier Philadelphia >>, possiamo solo ipotizzare. Sappiamo che negli anni di poco precedenti il 1943 un gruppo di giovani scienziati americani stava studiando la tendenza di un condensatore elettrico, caricato a tensione molto elevata, a muoversi verso il polo positivo. Sembra che questi siano riusciti a far volare dei condensatori a forma di disco di vario diametro, dopo averli caricati con tensioni dell’ordine di decine di migliaia di volts. Che l’Esperimento Philadelphia sia stato la "prova generale" di questi studi?

Pare che sulla nave fosse infatti montato un enorme magnete, circondato da bobine attraverso le quali passava la corrente prodotta da un grande generatore elettrico. Secondo altri, l’Eldridge era fiancheggiato da altre due navi, che fornivano energia al cacciatorpediniere. Di certo, comunque, non si sa nulla: i testimoni, ormai, sono rimasti in pochi e, tra i pochi, alcuni sono reticenti, altri non molto attendibili.

Qualcosa deve essere successo, comunque, se è vero che nei mesi successivi alla vicenda si verificarono alcuni strani episodi, aventi come protagonisti gli uomini che si trovavano a bordo dell’Eldridge al momento del fatto. Uno di essi divenne "invisibile" mentre beveva qualcosa al tavolo di un bar e non fu più possibile localizzarlo, pur udendone la voce, se non con la tecnica della "contrapposizione delle mani"; altri furono protagonisti di inauditi episodi di violenza.

Certo, possiamo immaginare quale shock sia stato per quegli uomini il trovarsi fisicamente ed emotivamente coinvolti in un campo di forze tale da trasportare una nave, pesante alcune migliaia di tonnellate, a migliaia di miglia di distanza! Purtroppo per loro, non fu possibile formulare alcuna prognosi né adottare alcuna terapia, in quanto hanno rappresentato (e lo sono a tutt’oggi) un caso "unico" nella storia della medicina. Da più parti si è anche parlato di contatti da parte degli uomini imbarcati sull’Eldridge al momento dell’incidente con presunte "entità aliene". Non possiamo certo dimostrarlo, ma nemmeno escluderlo, se si pensa che molti ritengono gli alieni "curiosi" di ogni attività umana di una certa importanza, specie quando vengono maneggiate grandi sorgenti di energia o giganteschi campi di forza.

Troppo poco ne sappiamo per continuare: di certo l’Esperimento Philadelphia, se si è verificato (e nulla vieta di crederlo), ha aperto porte sconosciute su dimensioni inimmaginabili (quelle ipotizzate da Einstein "ultima maniera", a parziale revisione delle teorie relativistiche); porte che sono state, a quanto pare, subito richiuse, a causa dell’eccezionalità di ciò che celavano, della pericolosità (e non solo per l’uomo) delle forze in gioco e per l’incapacità da parte di chi le aveva spalancate di dominare l’immensa energia che ne scaturisce. Ma auguriamoci che non sia lontano il futuro in cui verranno nuovamente socchiuse, non senza aver provveduto ad approntare idonei mezzi di protezione e di controllo nei confronti di quelle forze ancora sconosciute con cui l’Uomo, inevitabilmente, è destinato a venire in contatto e che potrebbero risultare decisive per lo sviluppo della propria evoluzione.

Bibliografia

  • W.L.Moore - ESPERIMENTO Philadelphia - Sonzogno/Milano 1979